Tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre del 1966, il Trentino e buona parte dell’Italia vengono colpiti da forti e continue piogge. Le temperature alte portano allo scioglimento delle nevi cadute nei giorni precedenti sopra i 1800 metri. Alcune dighe cedono, mentre i tronchi caduti formano delle dighe naturali.
Nel primo pomeriggio del 4 novembre 1966 l’ingegnere capo del Genio Civile, Federico Menna, dispone il “servizio di piena” mettendo tutti in allarme, dall’esercito agli ospedali. Alle 19.30 fa chiudere la diga di Santa Giustina sul Noce (Val di Non) evitando che 300 metri cubi di acqua e detriti si sommino a quelli che già stanno invadendo il capoluogo: l’Avisio e il rio Salè che invade la città da sud.
A poche settimane dall’alluvione la vita, seppur a fatica, riprende. La solidarietà tra la popolazione è davanti agli occhi di tutti, l’unica cosa da fare per ripartire è darsi una mano. Anche molti rappresentanti politici cercano di dare un contributo e fanno visita ai vari paesi del Trentino, compreso Aldo Moro, Presidente del Consiglio, che dice: «Ammiro il vostro coraggio e il vostro civismo. Occorre prima ricostruire, poi costruire per l’avvenire».
I morti a causa dell’alluvione in Trentino sono 22, mentre in 500 rimangono senza casa. I danni sono ingenti. Nei tre anni successivi, la Procura di Trento svolge delle indagini per individuare eventuali responsabilità, ma viene confermato che i tecnici hanno fatto il possibile per tutelare la popolazione e il territorio, prima, durante e dopo l’alluvione e per affrontare, limitare e ridurre la portata e le conseguenze del disastro.
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Intervista a Giorgio Piffer, nato a Besenello negli anni Trenta, a cura di Associazione Portobeseno
«Nel ’66 a Trento gh’è stà l’alluvione. Noi pompieri de Faedo g’aveven la pianura, da chi a Masen, al ponte che va a Mezzocorona, da lì fino al confine de Salorno. Quindi g’aveven l’Adige da controlar, l’era pu quel el pericol che n’incendio! Perché dal foc te ghe scampi, ma dal’acqua… neanca se te sei bona de nodar!» [Antonio Fontana, nato a Faedo nel 1934]
«Si è vissuta una notte da incubo, l’Adige ha rotto gli argini a nord della città […] tutta la parte nord è allagata. L’acqua a contatto con il sodio utilizzato nello stabilimento chimico della SLOI ha causato forti scoppi e alimentato incendi con fiamme alte decine di metri, i bagliori si sono visti anche da molto lontano. […] La popolazione è stata presa dal panico, anche perché i vigili del fuoco non riescono più a far fronte alle ripetute richieste di soccorso. Non solo la zona della città è in allerta, ma anche tutte le zone circostanti devono essere monitorate affinché non si riversi altra acqua sulla città o sui territori già pesantemente colpiti.» [Telegiornale regionale del 5 novembre 1966]
Io c’ero.
Il 4 novembre,ero ufficiale di picchetto alla caserma Ederle,quando mi viene ordinato di prendere 50 soldati ed andare a posizionare dei sacchetti di sabbia sulle sponde del fiume.I soldati hanno lavorato tutta la notte senza sosta.Al mattino,la strada per tornare in caserma era allagata ed io ho ricevuto l’ordine di “fare quello che puoi,stiamo evacuando la caserma”.In divisa da ufficiale,con 50 soldati,sono andato i giro per la strada del Brennero a cercare ospitalita’…….