Corrado Pontalti (Prua) nato a Povo (TN) nel 1923, a ventun’anni era pre-marinaio sulle navi tedesche, lungo le coste italiane e poi nel mar Baltico.
Chiamato alle armi allo scoppio della guerra e arruolato come marinaio a Genova, con l’armistizio dell’8 settembre 1943 venne catturato dai tedeschi con i suoi commilitoni.
Io sapevo un po’ di tedesco e così ero benvoluto dalle guardie naziste, perché traducevo gli ordini. Approfittando della loro fiducia, sono riuscito a fuggire il giorno stesso dell’armistizio.
A Trento entrò nel Battaglione Gherlenda tra le fila della resistenza partigiana.
Il nome di battaglia “Prua” l’ho scelto io in ricordo del cannone dell’incrociatore Aurora, che sparò la prima cannonata in direzione del Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo nel 1917, dando inizio alla rivoluzione russa.
Cretit materiale: A.N.P.I (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) Trentino
molto valido. Si potrebbe anche definire passaggio della memoria da una generazione a un’altra
«C’è stato un periodo della mia vita in cui condannavo aspramente i soldati italiani che per evitare di finire in un lager accettarono di collaborare coi nazisti lavorando nei campi e nelle officine. Mio suocero era uno di questi; era un giovane alpino che non aveva la stoffa dell’eroe. Decise di fare quel che aveva sempre fatto: il contadino. Finita la guerra, si sposò, ebbe tre figlie e una di loro è la madre di mio figlio. Una volta divenuto padre ho raggiunto la piena maturità e ho capito che tutte le guerre sono infami, specialmente quelle sante perché offendono Dio e ho riflettuto sulla scelta di mio suocero condivisa da molti trentini caduti nelle mani dei nazisti. Quanti lutti in più ci sarebbero stati, quante famiglie in meno si sarebbero formate senza quella scelta? La mia vita sarebbe stata completamente diversa e provo un grande raccapriccio quando penso che non avrei mai conosciuto mia moglie e mio figlio e le mie cognate e i miei nipoti… Quel giovane alpino, nella sua ignoranza, prese una decisione saggia perché non si può chiedere a una persona semplice che chiede solo di vivere con gioia il dono della vita di uccidere uomini di cui non sa niente e di morire per un ideale che non è il suo. Questa semplice storia ha influenzato l’esistenza di molti trentini nell’arco di tempo che va dal 1945 al 1980 e penso che dovrebbe essere richiamata all’attenzione di tutti in questo periodo in cui si comincia a parlare di guerra come se si trattasse di andare a giocare una partita di calcio. E’ terribile il passo indietro che sta facendo l’Umanità da vent’anni a questa parte e spero che i giovani riflettano su questa storia che sembra semplice solo in apparenza. Non accadrà mai più, dicevano tutti gli europei alla fine della seconda guerra mondiale. E invece…
Ci tengo a rimanere nell’anonimato perché sono certo che questa storia può essere firmata da centinaia di migliaia di persone.»