CALL TO ACTION!
Raccontaci della tua scuola degli anni ’60!
- Dove andavi a scuola?
- Con quale mezzo la raggiungevi e quanto durava?
- Eri in una classe mista? in una pluriclasse?
- Quale era il tuo Kit scolastico?
- Quanti maestri avevi e quale era il tuo preferito? Erano severi?
- Ricordi una punizione o un premio ricevuti?
- Sei mai andato in gita? Se si, raccontaci dove e qualche aneddoto del viaggio!
Stiamo cercando i “Quaderni delle regioni” usati a scuola negli anni ’60: se li conservi ancora mandaci una foto della copertina così completeremo la collezione! Puoi vedere quelli fino ad ora raccolti qui.
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Vanno bene foto, interviste, video e qualsiasi documento che testimoni la scuola negli anni ’60! I materiali selezionati saranno pubblicati nel sito dna.trentino.it
«Molti bei ricordi, specialmente la maestra di I elementare.» [L., Pieve Tesino, nata nel 1963]
«Essendo stonata la maestra mi invitava/ordinava di non cantare e di limitarmi a muovere solo la bocca.» [E., Castello Tesino, nata nel 1958]
«Ricordo la mia prima “simpatia” per una compagna di classe in IV elementare ma non trovai mai il coraggio di manifestarglielo, solo a distanza di decenni glielo confidai .» [P., Castello Tesino, nato nel 1956]
«Ricordo che ero timidissima, specialmente nei primi due anni della Scuola elementare, che avevo una gran soggezione dell’insegnante, tanto da non avere nemmeno il coraggio di chiedere di andare in bagno.» [L., Tuenno, nata il 13/07/1951]
«Ricordo: la Messa la mattina prima della lezione, la maestra fino alla IV era molto buona e generosa con noi e con altri. In V elementare ho avuto un maestro molto cattivo che ci pestava ed era sempre scagionato dai genitori.» [B., Cles, nata il 16/09/1958]
«Ricordo che la prima, la seconda e la terza avevamo una maestra, mentre in quarta e in quinta un maestro. Bravi tutti e due ma il maestro era un po’ rigido con i maschi e noi femmine lo temevamo, avevamo un po’ di paura, quasi ma abbiamo imparato tanto e bene. La scuola era molto vecchia e non avevamo lo spazio per la ricreazione. La ginnastica si faceva al lato dei banchi, pochi movimenti con le braccia e basta. Allora abitavo a Torbole.» [R., Riva, nata il 15/09/1955]
«Iniziai a frequentare le scuole elementari nel 1960 presso il vecchio edificio che ora è sede degli uffici comunali. C’erano banchi biposto in legno con i sedili reclinabili, lo scrittoio era un piano inclinato che portava incisi i “ricordi” degli alunni dei numerosi anni precedenti. Il piano di ogni banco era provvisto di una “scanalanatura” dove si riponevano la matita, la gomma, l’asticciola e un piccolo “nettapenne” che poteva avere forme diverse, composto da due sottili strati di gommapiuma contenuti tra due fogli impermeabili, serviva per pulire il pennino dall’inchiostro prima di posare l’asticciola al suo posto. Alla destra di ogni bambino si trovava il calamaio composto da un vasetto di vetro sistemato in un foro nel piano del banco da cui fuoriusciva solo il coperchio che vi era avvitato sopra, provvisto di una linguetta girevole che serviva per chiudere la piccola apertura dove si intingeva il pennino. Allora si usava l’asticciola di legno o di plastica nella cui estremità inferiore, leggermente più grossa, si infilava il pennino di metallo. C’erano pennini di forma diversa, quelli con la punta più larga servivano per gli esercizi di “bella scrittura” in cui le parti ascendenti delle lettere erano sottili, quelle discendenti più marcate. A quei tempi la penna stilografica era un’eccezione, la sferografica, la frixion… neppure sognarsele! Dopo un primo periodo in cui si usava la matita per scrivere (quanta fatica a completare righe e righe di aste e filetti per non parlare di quelle da riempire con le letterine in corsivo: l’ordine non è mai stato il mio forte!) si passava all’uso della penna. Il pennino s’impuntava nel foglio, le macchie e i buchi nella pagina erano sempre in agguato come le conseguenti sgridate della maestra (quella della classe prima era molto paziente, non ricordo che abbia usato maniere più forti come facevano invece le insegnanti di seconda e quarta!). Ancora durante il primo anno scolastico traslocammo nel nuovo edificio. Ci sembrava un lusso: il piano del banco non più inclinato era ricoperto di lucida formica verde, la scanalatura portapenne era nera, le sedie erano staccate dal resto del banco. C’erano anche la mensa dove gli alunni provenienti dalle diverse frazioni si fermavano a pranzo. Noi femmine indossavamo il classico grembiulino nero e il colletto bianco, i maschi al posto del grembiule fino al ginocchio portavano una giacchetta nera dello stesso tessuto. Spesso le classi venivano suddivise in maschi e femmine, ad esempio i bambini di prima erano nella stessa aula con noi femmine di quarta. Quando frequentavo la quinta con noi c’erano anche gli alunni di sesta, settima e ottava, perché la scuola media diventò obbligatoria solo l’anno successivo.
La mia materia preferita era la matematica, ricordo ancora quanto ero orgogliosa nel disputare le gare di caselline in cui spesso riuscivo a primeggiare; mentre i test di italiano erano proprio una pena: avevo ben presto esaurito le idee, cosa potevo raccontare: le mie esperienze extrascolastiche erano proprio limitate, alla fine delle lezioni (08.00 – 11.00, pausa pranzo, 13.00 – 15.00 tranne il giovedì che era libero) non potevo fermarmi con le mie compagne, per tornare a casa dovevo percorrere più di un chilometro. Dopo aver eseguito i compiti c’era da seguire qualche lavoretto in campagna o si andava nel bosco vicino, nella bella stagione. In inverno stavo spesso dai nonni oppure passavo il tempo a giocare con la bambola di cui ero molto gelosa: guai a chi la toccava.» [C., Cles, nata nel 1954]
«Mi ricordo che ero uno dei più bravi. Alle medie sono uscito con il buono. Mi sono diplomato all’istituto di San Michele all’Adige quando l’ammissione era ancora a numero chiuso.» [A., Levico Terme, nato il 7/12/1960]
«Era il terrore di noi scolari degli anni 50/60: quotidianamente la maestra doveva somministrarci la medicina contro il rachitismo (gambe ad arco, magrezza evidente, scarsa forza fisica) che consisteva in un grande cucchiaio di olio di fegato di merluzzo. Era una vera e propria schifezza a causa dell’odore, del sapore e della sgradevolezza nello scendere dalla bocca allo stomaco. La maestra però aveva escogitato un trucco: uno spicchio d’arancia subito dopo la deglutizione così con quel buon sapore mai provato (si mangiavano solo mele, pere e nespole) era una delizia che alleggeriva un poco il nostro impegno obbligatorio.» [B. G., Pergine Valsugana]