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con l’hastag #dnatrentino le foto e i ricordi
della scuola anni ’50
o invia il materiale a info@dna.trentino.it
Singoli, gruppi informali, scuole, associazioni, realtà culturali o istituzionali sono invitati a partecipare alla narrazione della storia del Trentino attraverso la raccolta e la condivisione di testimonianze, documenti e immagini recuperate dai cassetti della memoria.
Vanno bene foto, interviste, video e qualsiasi documento che testimoni la scuola negli anni ’50! I materiali selezionati saranno pubblicati nel sito dna.trentino.it
MAGGIO 1950 = 5^ ELEMENTARE, prima gita scolastica, destinazione Trento Castello del Buon Consiglio.
Di buon mattino accompagnati dalla maestra, partenza da Ospedaletto con il treno a vapore, 3^ classe cioè con le panche in legno, muniti di panini e di pochi spiccioli da spendere solo in caso di necessità, e pieni di entusiasmo nell’affrontare un’avventura unica e rara: per molti coetanei era la prima volta che salivano in treno e che vedevano una città!
Primo giorno di scuola
Anno 1951
Prima di tre figli ho iniziato il mio primo anno di scuola a Trento – alla Scuola elementare “Raffaello Sanzio” ancora adesso situata nelle vicinanze del Castello del Buon Consiglio.
Ricordo chiaramente che ancora prima dell’iscrizione alla prima classe la mia mamma è stata invitata a scegliere la maestra. Le maestre di prima classe femminile erano due: una per la sezione A, un’altra per la sezione B (altre due sezioni erano destinate ai maschietti).
Come era previsto la mia mamma si è sentita con le altre mamme prima di incontrarsi con le due insegnanti, per sentire pareri positivi e/o negativi da chi già conosceva queste insegnanti. Risultato: classe prima A – maestra Cornelia Redi – bravissima come insegnante, ma severissima. Classe prima B – non ricordo il nome…. brava anche lei, ma non così severa come la maestra della sezione A.
La mia mamma non ha avuto dubbi e mi ha iscritta alla prima classe sezione A.
Ho un ricordo netto del primo giorno di scuola e dei giorni seguenti nel primo anno scolastico. Ho intuìto subito quello che aveva detto la mia mamma al papà: l’ho iscritta con la maestra Redi perché dicono che è bravissima e severissima. Forse la mia mamma traduceva “severissima” con l’impegno di farmi amare lo studio più di quanto io già lo amassi. Andare a scuola per me è sempre stata una gioia. Naturalmente l’insegnante, che era abbastanza severa, anzi severissima, incuteva in me, bambina di soli sei anni, un certo disagio nei suoi confronti. Ricordo quando mi rivolgeva delle domande prima di rispondere, aspettavo un po’, per timore di sbagliare e sentirmi un rimprovero, che mi veniva rivolto, senza naturalmente, il sorriso sulle labbra.
Il primo anno mi ha messa diverse volte in castigo, non ricordo il motivo. Ricordo invece benissimo che mi faceva nascondere dietro alla lavagna. In quegli anni la lavagna non era appesa al muro, ma era posta su un supporto di legno e quando era completamente scritta da un lato, veniva ruotata sull’altro lato vuoto. Non ricordo che la maestra pulisse la lavagna, credo provvedessero le bidelle a fine giornata. Al mattino si arrivava a scuola senza nessun disegno o scritta del giorno precedente.
E così passò il primo anno scolastico! Iniziai la seconda elementare con la stessa maestra. Correva l’anno 1952. Conoscevo già la maestra e la scuola. Mi dimostro contenta di apprendere nuove cose e di avere una buona capacità espressiva e una bella scrittura. Anche l’insegnante severa si complimenta con me. Ciò nonostante anche quell’anno colleziono una serie di castighi. Non ricordo ancora le motivazioni. Credo, ma non sono certa, perché parlavo con qualche compagna di banco. E il castigo era sempre dietro alla lavagna! Castigo severissimo: mi faceva rimanere anche dopo la fine dell’orario scolastico che era previsto alle 16.30. La mia mamma, poverina, che mi veniva a prendere, doveva attendere almeno un quarto d’ora la mia uscita con il pensiero “Povera figlia! Cosa avrà combinato?”.
«Mi ricordo una maestra molto cara che si chiamava Maria Vender e la ricreazione nel grande cortile attuale Casa di Riposo di Mezzocorona.» [A., Mezzocorona, nata nel 1946]
«Ricordo ancora gli insegnanti, i compagni e gli esami di V con il Teorema di Pitagora.» [E., Mezzocorona, nato nel 1948]
«Ricordo la serietà dei maestri e la loro ottima preparazione.» [C., Mezzocorona, nato nel 1951]
«Prima di andare a scuola andavo a prendere pane e latte, poi si andava a messa e infine con il maestro ci dirigevamo verso la scuola in fila per due.» [S., Mezzocorona, nato nel 1951]
«Avevo una maestra severa ma quello che ho imparato lo devo a lei, si chiamava Darberina dell’Eva.» [E., Mezzocorona, nata nel 1949]
«In IV elementare avevo il maestro Barbolini: bravissimo. Quando facevamo un tema ci suonava il violino che creava un’atmosfera tutta particolare.» [G., Tesero, nata nel 1946]
«Santa Messa alle ore 7, poi in fila verso la scuola, maschi e femmine separatamente. I maschi erano spesso castigati con bacchettate sulle mani o sul sedere; le femmine dietro la lavagna o in ginocchio sui fagioli.» [L., Cles, nata nel 1943]
«Ho iniziato le elementari nel 1948 alle scuole Crispi, con il maestro Mazzonelli. Andavo a piedi abitando in via Mazzini. Anche chi veniva da lontano… tutti a piedi!» [C., Trento, nato nel 1942]
«In aula c’erano due classi. Le maestre insegnavano tutte le materie. Le bambine indossavano un grembiulino nero, i maschi la giacchetta nera.» [C., Caldes, nata il 09/01/1946]
«Il mio ricordo è quello di noi bambini che prima di andare a scuola si andava alla S. Messa. Avevo un maestro molto severo, come pure il Parroco del paese. Bisognava partecipare una volta alla settimana alla lezione di Dottrina Cristiana osservando soprattutto le festività dei Santi, la Confessione e la Comunione.» [M., Caldes, nata il 26/6/40]
«Cuoricini con la marmellata – 3° elementare. A ricreazione di solito avevo due cuoricini “alla marmellata”. Una scolara del banco dietro a me era del Collegio e aveva sempre fame. Un giorno mi chiese se le davo i cuoricini in cambio della sua penna a stilo. Guardai la mia vecchia asticciola con il pennino e le diedi i dolci. Non so cosa successe ma non vidi più né lei né la stilo (penso fosse furbetta!).» [D., Trento, nata il 04/11/1951]
«Io sono nata a Tn nel 1947. I primi 2 anni ho abitato in via Pietra stretta. Poi io e i miei genitori siamo andati a Bolzano per un nuovo lavoro di mio padre. A Bolzano l’appartamento dove siamo andati ad abitare aveva solo 2 stanze: camera e cucina, il bagno non c’era e avevamo in uso comune agli altri inquilini l’uso del WC. Era l’immediato dopoguerra, erano in molti ad avere le case così. A scuola ero brava, anche perché avevo l’aiuto di mio padre in matematica e di mia mamma che amava la letteratura perché da giovane lavorava presso i conti Canossa e aveva l’incarico di guardarobiera e alla sera leggeva ai figli dei conti.
In classe con me c’era stata per 2 anni la mia cugina con cui andavo e vado tuttora molto d’accordo.
A Bolzano oltre le solite materie avevamo dalla 2a elementare il tedesco. Ora si parla tanto di seconda lingua come se fosse un’idea nuova.
Come tanti bambini amavo molto il disegno. La maestra qualche volta per tema ci dava fogli con diversi disegni di scenette quotidiane ma ce li dava girati così non potevamo sapere cosa ci sarebbe capitato. Io trovavo la cosa divertente e ricordo che uno di questi disegni su cui poi dovevo fare il tema aveva per soggetto uno scolaro in punizione dietro la lavagna.
Passai dei bei 4 anni tra la scuola, le mie cuginette e miei genitori. Però ci colpì una tragedia: in pochi giorni mia mamma morì. Così poi dovetti tornare a Trento col mio papà presso due zii senza figli. La zia era la sorella della mia mamma e aveva voluto mantenere la promessa fattale tanti anni prima, che se le fosse accaduto qualcosa lei mi avrebbe allevato. La zia mi ha voluto tanto bene e mi ha fatto sentire un po’ meno questo dolore.
Così iniziai la 5a elementare qua a Trento. Tra la maestra che parlava dialetto e non capivi niente e le compagne che mi prendevano in giro per il mio italiano ho dovuto iniziare a parlare in dialetto. Mio padre era toscano e non parlava mai in dialetto perché tutti ridevano.
Un giorno la mia nuova maestra interrogandomi e non sentendomi rispondere mi ha tirato i codini col fiocchetto che portavo. Mia zia per protesta mi ha portato lo stesso giorno dalla parrucchiera per farmi tagliare i capelli. Non so se ha fatto osservazione alla maestra ma lei mi ha detto: se vuole intendere intenda! Ma nessuno ti tocca!
Sempre in 5a elementare siamo andate a fare una gita scolastica al lago di S. Colomba. Mio padre ha pensato a comprarmi un contenitore per mettere il cibo da portare alla gita. Poverino, non avendo esperienza mi aveva preso un cestino da asilo, di vimini, piccolo ma carino. Quando sono arrivata a scuola tutte mi hanno preso in giro e io mi vergognavo. Le altre avevano il Tascapane e ultimamente si usavano quei sacchi lunghi e stretti da mettere a tracolla a righe con i colori di squadre di calcio. Io, tutta felice col mio cestino leggero e comodo per quella lunga camminata. Una mia compagna che aveva quel sacco all’ultima moda, si era stancata del peso e mi ha chiesto se l’aiutavo a portarlo. Così io felice di portare la novità anche se pesante e lei il mio cestino leggero, abbiamo camminato insieme. Ma io poi sorpresi tutte ed ebbi l’invidia di tutte, quando al pranzo al sacco aprii il mio cestino con dentro oltre i panini, la mela e la thermos, avevo un bel budino alla vaniglia. Ho imparato così nella mia vita che l’apparenza a volte inganna.
Non so se per timidezza o per ciò che avevo passato, la 5°elementare per me è stata una tragedia.» [D., Trento, nata nel 1947]
«Ricordi della scuola elementare anni 1953-58. Molti sono i ricordi del periodo della scuola elementare.
– Si entrava in fila per due, in silenzio, con ordine. Si iniziava e si terminava sempre con la preghiera.
– In classe c’era la stufa alimentata a legna, si trovava sempre ben calda al mattino e qualche volta ci si scaldava le mani intirizzite. Era una festa quando un pomeriggio era dedicato a portare, dalla piazza alla soffitta della scuola, la legna (i fesèi) che sarebbe servita per riscaldare l’aula durante l’inverno.
– In classe c’era un bambino “in difficoltà” che spesso la maestra lo chiamava in cattedra, vicino a lei. Un giorno accanto alla cattedra, in piedi, ha fatto pipì, un lago! Vedo ancora i “risolini” dei compagni, rivedo la maestra che mi guarda e mi chiede di pulire (forse me l’ha chiesto per piacere, ma sicuramente perché sapeva che ero servizievole e non mi sarei rifiutata). Ero un po’ schizzinosa (allora non c’erano guanti usa e getta), mi è costato tanto quel servizio ma non ho certo “osato” rifiutare. Mi è rimasto talmente impresso che ricordo ogni particolare di quell’episodio.
– In 5a avevamo un insegnante giovane, nervosetto, (spesso) infieriva con i maschi un po’ lenti: a volte li derideva, a volte gli scappava qualche ceffone. Una volta esagerò veramente: diede uno spintone o un manrovescio ad un alunno e questo finì ventre a terra, non contento il maestro infierì mettendogli un piede sulla schiena e continuando a inveire. È un’immagine che non ho più dimenticato!
– Ho anche dei ricordi belli: in classe entra il sig. Direttore Didattico. Tutti in piedi, saluto, silenzio perfetto, batticuore perché la sua visita era stata preannunciata poco prima dall’insegnante, con tante raccomandazioni. Il Direttore osservò i cartelloni, diede un’occhiata ai quaderni, ascoltò la lettura di un brano e alla fine chiese di ascoltare qualche poesia di cui non ricordo né il titolo, né le parole ma la pagina del libro su cui era scritta: un cielo azzurro intenso con tante stelle e un riquadro bianco con il testo. Leggo in volto la soddisfazione del maestro e sento il Direttore che dice: “Brava, proprio brava!”.» [G., Peio, nata il 29/01/1947]